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Parla il superteste:| “Così abbiamo torturato i sospetti”

La strage alla casermetta di Alcamo
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“Giuseppe Vesco fu fatto spogliare e fu legato mani a piedi a due casse di legno messe una sopra l’altra. Un carabiniere gli teneva il naso, l’altro gli versava acqua mista a sale da un secchio con un imbuto che gli avevano messo in bocca”. E’ un passo della testimonianza resa stamane dall’ex maresciallo dei carabinieri Renato Olino durante l’udienza, svoltasi a Catania davanti alla Corte d’appello per i minori, nel processo di revisione per due imputati della strage nella caserma dei carabinieri di Alcamo Marina del gennaio del 1976, Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo, che all’epoca dei fatti erano minorenni.

Olino ha ricostruito le fasi delle indagini che seguirono la strage partendo dal suo arrivo a Trapani insieme ad altri sottufficiali che facevano parte di una sezione speciale anticrimine per la lotta al terrorismo. Il teste ha ricordato la notte in cui Giuseppe Vesco, privo di una mano, fu fermato a bordo di un’auto e trovato con due pistole, un revolver calibro 7,65 e una calibro 9 parabellum.

Portai le armi al colonnello Russo – ha raccontato – e avemmo poi la conferma circa la loro compatibilità con i bossoli ritrovati sul luogo della strage”. “Avevo capito – ha aggiunto – che l’uomo sarebbe stato sottoposto ad un interrogatorio ‘duro’ e mentre eravamo in auto dissi al colonnello Russo che era inutile fare questo passo dopo che avevamo avuto il riscontro delle armi. Lui mi rispose che non era d’accordo e aggiunse ‘sì, così ce lo ritroviamo libero per Alcamo accusato solamente di ricettazione'”.

L”interrogatorio – ha continuato Olino – proseguì con scariche elettriche da un telefono da campo. Il colonnello Russo poi promise a Vesco che se avesse fatto i nomi dei complici lui non gli avrebbe chiesto più nulla e Vesco fece così i nomi dei presunti complici: Giuseppe Mandalà, Giuseppe Gullotta (nella foto), Vincenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo. Dopodiché scattarono le perquisizioni e i sequestri in casa degli indagati”. “Mi sentivo indegno – ha concluso – di essere ancora un carabiniere e mi era sorto il dubbio che potevano essere accusati degli innocenti. Venni a sapere di violenze gratuite nei confronti di quei ragazzi, di finte esecuzioni con la pistola prima scaricata e poi puntata alla testa. Per questo decisi di lasciare l’arma. Non è stato facile, è stata una scelta molto sofferta”.

A causa di questa vicenda sono stato costretto a lasciare l’Arma dei Carabinieri – ha detto poi Olino ai giornalisti – Non ho un reddito e non posso chiede un risarcimento perché è tutto prescritto. Chiederò al Capo dello Stato di valutare la mia situazione perché non sono riuscito a ricostruirmi una vita”.

Ho lasciato l’arma – ha concluso – e per questo chiedo un sostegno, non per me ma per dare un futuro ai miei figli. Non hanno fatto niente e pagheranno le conseguenze di questa mia scelta di legalità”.


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