Uwe, la fontana, l'ipocrisia - Live Sicilia

Uwe, la fontana, l’ipocrisia

La coscienza collettiva, di norma indifferente alle tematiche del decoro urbano e dell’arte, come un amante che languidamente si lascia coccolare tra le lenzuola, si desta soltanto quanto ritiene di subire un affronto che ne metta in discussione l’onore in ogni sua forma.

Poteva essere una settimana incolore, stancamente traghettata verso le elezioni europee da una campagna elettorale in cui neppure le contumelie e le offese – che ormai hanno soppiantato le promesse nelle più avanzate strategie di marketing – avrebbero saputo destare l’attenzione di una città assopita nel primo caldo primaverile. Ed invece, provvidenziale, è giunto il gesto di Uwe Jaentsch ad offrire un argomento di confronto, o, come ormai più spesso accade, di scontro tra le diverse milizie ideologiche pronte a brandire le armi per darsi battaglia. E’ innegabile che le parole quasi schiaffeggiate sulla storica fontana Garraffello abbiano rappresentato una sfida capace di suscitare le reazioni più disparate. Dall’indignazione, più o meno scomposta, per un gesto considerato puro vandalismo all’ipocrita autocommiserazione grondante vittimismo di maniera di chi lamenta l’abbandono ed il degrado in cui versa la città; dalla solidarietà per l’attacco frontale alle sempre più distratte istituzioni cittadine fino alla considerazione, condivisa da chi scrive, secondo cui quella scritta altro non è che un disperato tentativo dell’artista di sfuggire all’oblio.

Non sorprenda, quindi, che le reazioni dei cittadini da sempre sensibili al fascino dell’iperbole, dell’esasperazione e della radicale estremizzazione, abbiano evidenziato anche un risibile accenno di patriottismo sulla scorta della suggestione che vuole l’artista austriaco come l’incarnazione del feldmaresciallo Radetzky contro il quale una città è insorta in una grottesca rievocazione delle Cinque Giornate di Milano. Eppure, questo appena accennato richiamo ad una deriva xenofoba colto da anime forse eccessivamente sensibili o, forse, tendenziosamente schierate, sembra dimenticare che ogni forma di militanza, anche la peggiore, richiede un impegno che non sembriamo capaci di assicurare ove non ne consegua un diretto beneficio, così che la tipica indolenza palermitana, almeno sotto questo aspetto, offre adeguate rassicurazioni.

Le suggestioni cittadine, pur rincorrendosi come in un gioco di specchi sulle note di un valzer, di fatto si muovono su un terreno più saldo, secondo un rituale consolidato nel tempo a tal punto da divenire un tratto distintivo della “palermitanità”. La coscienza collettiva, di norma indifferente alle tematiche del decoro urbano e dell’arte, come un amante che languidamente si lascia coccolare tra le lenzuola, si desta soltanto quanto ritiene di subire un affronto che ne metta in discussione l’onore in ogni sua forma. Così, procedendo a strappi tra una provocazione e l’altra, tenacemente riafferma quei medesimi valori che nella quotidianità disattende con tracotante indifferenza a riprova della assoluta incapacità della città e dei suoi cittadini di vivere la normalità, bisognosi dell’emozione collettiva più estemporanea.

Il degrado, anche nelle sue forme più romantiche, spesso viene ostentato con malcelata vanità come un tratto distintivo, come una voglia su un viso di porcellana che contribuisce a rendere la bellezza ancora più selvaggia ed inconfondibile nella sua particolarità. Si scorge ormai da tempo questa pallida imitazione bohemien, maschera che tenta invano di dissimulare quella natura decisamente borghese di cui ci si sforza inspiegabilmente di nascondere i tratti fino a rinnegarli. Le polemiche sulla presunta ferita inflitta da UWE alla fontana del Garraffello ed alla città intera, hanno dimostrato, ancora una volta, che i temi del decoro urbano, della cura dei monumenti e di ogni spazio pubblico; la conservazione della tradizione e delle sue gloriose testimonianze e, soprattutto, la tutela ed il rispetto della legalità in ogni sua forma sono come vessilli da innalzare piuttosto che la linfa vitale chiamata a nutrire la collettività.

Semplici paramenti da indossare in ogni occasione in cui sembra doveroso affollarsi in processione ostentando i simboli dell’ortodossia a puro ed esclusivo beneficio di chi ci guarda così che la censura integralista che vuol vedere nel gesto di UWE il simulacro di una Palermo ancora una volta oltraggiata appare, di contro, posticcia ed autoreferenziale. Memori del più celebre “UWE TI AMA” che per anni ha incoronato Piazza Garraffello, chissà che quella scritta dal colore così intenso, come il sangue, come la vita che scorre, in fondo non sia davvero un gesto d’amore. Un dono offerto ad una città che può mostrarsi indignata piuttosto che carnefice ed alla quale, ancora una volta, è permesso cedere alla tentazione di immaginarsi e raccontarsi a proprio piacimento, fedele all’adagio secondo cui “S’ei piace, ei lice”, in cui un po’ tutti finiamo per rifugiarci con buona dose di indulgenza. Perché – come osservato da un amico – molti tra i severi custodi della tradizione cittadina neppure sapevano che quella oltraggiata fosse una fontana, ammettiamolo.


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