"Ciancimino jr non è mafioso | Via D'Amelio, verità più vicina" - Live Sicilia

“Ciancimino jr non è mafioso | Via D’Amelio, verità più vicina”

Parla Ingroia
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Ci hanno detto che siamo ‘protagonisti’, ‘politicizzati’, ‘comizianti’. Ce lo diranno sicuramente altre volte. I giudici Falcone e Borsellino ci hanno insegnato che ci sono dei momenti in cui occorre decidere, se rimanere in disparte, oppure mettersi in gioco e denunciare pubblicamente con forza, lealtà e chiarezza”. Sono le parole che Nino Di Matteo, sostituto procuratore della Repubblica di Palermo, ha detto ieri sera durante il convegno tenutosi nell’atrio della facoltà di Giurisprudenza di Palermo dal titolo “Quinto potere”, organizzato da Antimafia duemila.

Parole che costituiscono le fondamenta di altri due interventi: quello di Antonio Ingroia, con il quale porta avanti il processo sul mancato arresto di Bernardo Provenzano nel ’95 e quello di Roberto Scarpinato, procuratore generale di Caltanissetta, dove si è arrivati ad una svolta sulle indagini che cercano di fare luce sul periodo stragista. Accolti come eroi, da un pubblico che, alla vigilia dell’anniversario della strage di via D’Amelio, dove 19 anni fa morì Paolo Borsellino, vuole ancora verità: un pubblico di palermitani, ma anche dai ragazzi delle Agende Rosse, proveniente da tutta Italia.

“Una boccata d’aria, nel clima irrespirabile che a volte ci circonda, quando ci dicono che le nostre indagini sono uno sperpero di soldi pubblici” ha ammesso Di Matteo. Hanno parlato da magistrati, ma anche da cittadini. “Noi – ha raccontato Ingroia – la sensazione che fu una strage di Stato ce l’avemmo fin dalle prime ore successive all’attentato. Adesso da Caltanissetta veniamo a sapere che Borsellino era a conoscenza di una trattativa. Vi assicuro che per come lo conoscevo io non si sarebbe mai girato dall’altra parte. Quest’anno – ha annunciato il magistrato – siamo giunti ad una nuova anticamera della verità. Siamo andati avanti, siamo più vicini. Siamo davanti a una porta che inizialmente credevamo avremmo aperto con un dito. Ma dall’altra parte c’è qualcuno che preme e non basterà un solo piede per poterla lasciare aperta. Ce ne vogliono cinque, dieci, cento, mille: ci vogliono i vostri piedi”.

Poi un appello da parte del procuratore aggiunto, e una precisazione, dettata con estrema fermezza. “Non lasciatevi confondere dai luoghi comuni. Non ho apprezzato i manifesti che hanno tappezzato Palermo” ha detto Ingroia parlando dei manifesti diffusi dalla Giovane Italia, la giovanile del Pdl sui è scritto: “Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”. “Tale padre tale figlio”, dunque, ma secondo il magistrato non è così. “Ciancimino Vito era un mafioso. Ciancimino Massimo, no. Vito anche nel ’93, a pochi mesi dalle stragi continuava ad affermare che Falcone avesse complottato per incastrarlo. Massimo Forse ha parlato troppo: nei suoi libri, nei salotti delle tv, in giro per l’Italia. Ma per quanto sia stata controversa – ha precisato il procuratore – la sua collaborazione, non possiamo negare che le dichiarazioni da lui rilasciate sulla trattativa, costituiscano un contributo essenziale per le indagini. Può nascere dunque il sospetto che qualcuno voglia insabbiarle”.

E se dalla comunicazione passa molto, della legge sulle intercettazioni e sulle nuove riforme ha parlato Nino di Matteo. La prima “è tornata ad essere argomento di stretta attualità, in quanto vieta la pubblicazione delle intercettazioni anche se non vi è più posto il segreto istruttorio. Una legge che riporta un consenso trasversale”. E la seconda, causa scatenante di una “offensiva univoca”, più che di una ‘guerra tra magistratura e politica’: “un’assurda campagna di denigrazione – ha spiegato Di Matteo – , facendo vigliaccamente leva sulla ricerca di una risposta all’ansia di giustizia dei cittadini. Non ci aspettavamo il silenzio del ministro della Giustizia di fronte a questi attacchi”.

Un testo, quello della riforma, giustamente definito dalle conseguenze epocali” ha detto Di Matteo, che paragona prima il testo a quello di rinascita democratica di Licio Gelli, e che si dichiara d’accordo con il premier almeno su una cosa: “Senza questa legge, l’inchiesta Mani pulite non sarebbe mai nata”; e infine l’eccessiva durata dei processi, che non viene assolutamente scalfita. Secondo Roberto Scarpinato invece, a non essere mai stata scalfito è quello che definisce un vero e proprio “protocollo operativo: il sistematico e ciclico uso della violenza come metodo di strategia politica. Scarpinato torna dalle radici in cui affonda la prima Repubblica, la strage di Portella della Ginestra, a quelle dalle quali è cresciuta la seconda, le stragi ’92-’93. Depistaggio, anticipazioni e uccisione dei mandanti. Sono questi i tre ingredienti che lo Stato, secondo Scarpinato, avrebbe mischiato, anche per le stragi di Capaci e via D’Amelio. Dalla sparizione dei documenti nel covo di Riina, ai ripulitori dell’agenda rossa di Borsellino. Dai falsi collaboratori, introdotti da esponenti delle forze dell’ordine, alla “sagra degli smemorati”.

E ancora, l’eliminazione di ogni esecutore materiale, e Graviano, che amministra il suo sapere per scongiurare eventuali rischi; l’incapacità delle commissioni parlamentari d’inchiesta di arrivare ad una conclusione, un’incapacità trasversale; e quindi “l’ipocrisia” delle istituzioni che ogni anno ricordano. Ad intervenire è stato poi il giornalista Giulietto Chiesa: “Se fossimo in un paese democratico stasera ci sarebbero stati trenta milioni di spettatori”. E infine l’accorato appello di Salvatore Borsellino, fratello del giudice: “Non ve ne andate dalla Sicilia. Come diceva Paolo dobbiamo amare quello che non ci piace per poterlo cambiare. Perché il nostro premier ha detto che queste procure stanno indagando su vecchie storie, perché ha detto che stanno cospirando contro di lui? Aiutatemi, io non riesco a capirlo”.

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