Abbiamo bisogno di questa politica? - Live Sicilia

Abbiamo bisogno di questa politica?

Il commento
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E quattro. Con l’arresto di Cateno De Luca, l’Assemblea regionale siciliana cala un ragguardevole poker. Dopo Fausto Fagone del Pid, arrestato per mafia nell’ambito dell’inchiesta Iblis, Gaspare Vitrano del Pd, finito in manette per tangenti, Riccardo Minardo dell’Mpa, arrestato per truffa, tocca al vulcanico sindaco di Fiumedinisi, Cateno De Luca.

Quattro deputati arrestati. Più di venti, se si contano quelli indagati. Che includono il presidente della Regione Raffaele Lombardo, finito nella nota inchiesta catanese che ipotizzava per lui e il fratello il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Un po’ troppo, per una Regione il cui precedente governatore alberga nelle patrie galere per aver favorito Cosa nostra.

Partiamo da una premessa: le cronache di questi giorni hanno riportato alla memoria l’Ars degli inquisiti, ossia quella dell’undicesima legislatura, che in piena tangentopoli fu travolta da una valanga di avvisi di garanzia e arresti. Bene, quasi vent’anni dopo, è utile ricordare che una parte non marginale di quei politici, la cui vita e la cui carriera fu distrutta dalle inchieste della magistratura, è uscita pulita dai processi, collezionando assoluzioni. Alla luce di quell’esperienza, della gogna mediatica e degli autodafè di piazza a cui diversi innocenti vennero sottoposti, oggi la prudenza è d’obbligo. E il garantismo sulle posizioni dei singoli, innocenti fino a prova contraria, va applicato e non solo come esercizio di maniera.

Ma al di là delle posizioni dei singoli, delle effettive responsabilità personali dei Cateno De Luca e degli altri inquilini di Palazzo dei Normanni, bisogna prendere atto della raffica di inchieste che coinvolge i deputati regionali, ma anche i sindaci, gli amministratori locali, l’esercito di stipendiati della politica che ad ogni livello occupa posti di potere nelle istituzioni, piccole e grandi. Inchieste che quotidianamente aprono squarci inquietanti su un rapporto malato tra politica, burocrazia e impresa, con l’eventuale, e non sporadico, coinvolgimento delle cosche, come si può leggere anche nell’ultima sconvolgente inchiesta curata da Riccardo Lo Verso sul mensile “S”.

A prescindere dalle responsabilità personali, ribadiamo, tutto ciò sbatte in faccia alla Sicilia un problema di contesto, per prendere in prestito una parola al mai troppo compianto Sciascia. Un problema che impone un passo indietro, o per lo meno una riflessione, o, come minimo, uno straccio di segnale. Sì, un segnale. Che l’Ars, a modo suo, ha mandato forte e chiaro la settimana scorsa alla Sicilia. Votando, a scrutinio segreto, il salvataggio della poltrona di un proprio deputato già condannato, che un tribunale e la stessa commissione Verifica poteri del Parlamento regionale avevano dichiarato incandidabile. Alla faccia di tutto, e della decenza in primis.

Non è peregrino chiedersi, a questo punto, se la Sicilia abbia bisogno di un’Ars del genere. O se non sia meglio chiudere al più presto i battenti della legislatura, magari trovando il tempo di portare effettivamente a compimento, con atti amministrativi che diano seguito alla legge approvata di fresco, una riforma della burocrazia che renda meno vischiosa quella terra di nessuno in cui prolificano il favore, la corruttela, l’abuso di potere. Diamo ai siciliani un’altra chance. Sperando, che una volta e per tutte si rendano conto che solo le loro schede elettorali, e non altri, possono raddrizzare la rotta di una nave alla deriva.

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