La morte di Norman: | "Qui non c'è futuro" - Live Sicilia

La morte di Norman: | “Qui non c’è futuro”

Il preside di Lettere, Guarrasi
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  “Non ci sono risorse, non c’è futuro per i giovani”. Quanto deve pesare il macigno delle sue stesse parole nel cuore di Enzo Guarrasi, preside di Lettere, a Palermo. Un ragazzo è morto nei cortili e tra le finestre della sua facoltà. Si chiamava Norman Zarcone, era appassionato di vita e di filosofia e si arrangiava da bagnino, montando ombrelloni, per imparare “l’etica del lavoro”. Norman non ha retto, verosimilmente, al crollo della speranza, secondo quanto racconta suo padre e secondo il canovaccio noto di una storia atroce. Il suo sogno si è spezzato col fragore di una colonna votiva a cui gli anni hanno sacrificato tempo, sudore, dolore e gioia. Lo studio, l’università, l’istruzione, la voglia di essere migliori, attraversando l’avventura di un libro. Tremendo è il disincanto di chi esce dalle coltri della fiducia e si trova davanti il mostro in tutta la sua verità. E il mostro non concede tregua, chiude a colpi di coda ogni uscita possibile, ti consegna al disfacimento, ti regala alla notte.

Enzo Guarrasi lo sa. Non è stata soltanto la consueta patologia di un sistema di raccomandazioni a incenerire il cammino di Norman. E’ stata la normale mancanza di sbocchi, quella che si dà per scontata perché non c’è più un soldo. E’ il trionfo dell’evento economico. Produce vittime collaterali. Ci sono voli per nulla pindarici. Ci sono corpi a terra o su una terrazza. Ci raccontano la trama della realtà. Uno sguardo e si riparte. Il preside Guarrasi è triste. Sta vivendo l’apice del dramma del suo mandato: “C’è un disagio molto ampio tra i giovani – confessa a Livesicilia -. Noi lo percepiamo, tentiamo di porre rimedio. E non sempre ci riusciamo”. Sì, nomina pure il ministro Gelmini, questo professore straziato. Va oltre: “Sto soffrendo. Noi viviamo la facoltà come una casa, come una famiglia. Norman e tanti come lui sono di stanza in biblioteca. Sono la parte più viva”. Tolga Norman dal mazzo, preside. Lo tolga dal presente. C’è stato. Esisterà come ricordo, come rimpianto. Non avrà più una bocca per sorridere agli altri. Non avrà più sguardi per riscaldarsi al calore dei loro sorrisi.

“Ovvio, i giochi di potere esistono – dice il preside -. Non li avallo però non mi va di chiudere gli occhi. E’ il meccanismo che genera disperazione. Certo, comprendo lo strazio del padre. Sono andato a trovarlo”. Claudio Zarcone, il padre di Norman, ha capito solo all’ultimo, al cospetto dell’evidenza di un cadavere. Ha intercettato l’abisso di suo figlio, senza riuscire a bloccare il suo disperato gesto di rottura. I padri intuiscono, non sanno, non credono, non difendono più. Non ci riescono.  Pensano che il figlio sia ancora un bambino, o almeno un ragazzo,  in qualche zona non ferita del cuore. Sperano. E invece il cuore di Norman era la cenere di un fuoco lento, era carne al rogo della depressione, era anche la piaga di un uomo già colpito, al netto di sigarette e amore. E i poeti e i pazzi lo sanno: i sogni di un uomo sono più pericolosi dei sogni di un ragazzo.


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