Il boss che cambiò faccia - Live Sicilia

Il boss che cambiò faccia

La storia di un criminale in fuga
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4 min di lettura

Giuseppe Falsone che torna in Italia e che porta con sè la faccia nuova (nella foto). Giuseppe Falsone che non ha più gli occhi di fuoco dei sanguinari, nè le labbra serrate dei mafiosi di una volta, a cui bastava mezza parola, per farsi comprendere dalla Sicilia intera. Forse, Giuseppe Falsone, insieme alla vecchia faccia, ha anche scelto di dimenticare quel nomignolo, Linghi linghi, raccolto sulle labbra del padre morente, insieme alla promessa del riscatto e all’eredità mafiosa da boss.

Da un anno e mezzo, forse due, la primula rossa di Campobello di Licata viveva in Francia, a Marsiglia, con un volto nuovo, da persona innocua. Gli occhi annacquati, la capigliatura un po’ borghese, le guance rinvigorite da qualche spruzzo di botulino. Giuseppe Sanfilippo Frittola. Così aveva scelto di chiamarsi, rubando l’identità a un incensurato della provincia di Catania, sul conto del quale gli inquirenti continuano a ripetere che potrebbe essere del tutto estraneo alle vicende del boss. Probabilmente l’ennesima vittima, a cui l’ex superlatitante aveva strappato l’identità, dopo anni passati a trucidare la gente da un punto all’altro dell’agrigentino.

In Francia Falsone pensa di cambiare vita e decide di farlo – come ci raccontano gli inquirenti – con quella determinazione che non ammette passi indietro. Parte dalla Sicilia come lupo solitario: schivo, spietato, imprendibile. Uomo con le scarpe buone che, pur di non farsi prendere – come rivela Giuseppe Sardino, suo ex vivandiere, ora collaboratore di giustizia – era capace di percorrere decine di km a piedi, nel buio senza fine di notti invernali, che lo facevano sentire al sicuro, tra le braccia della sua terra, di cui conosceva ogni anfratto. Crudo con le sue vittime, ma anche con se stesso, al punto da recludersi per mesi in tuguri di campagna, da Naro a Palazzo Adriano. Poi la svolta. Falsone non ce la fa più. La sua rete di fedelissimi si smaglia. Alcuni vengono arrestati, in un replay di blitz antimafia, altri hanno paura e piano piano si allontanano dal boss. Lui medita, progetta e già dalla sua latitanza agrigentina – lo confermano i pizz ini e i pc trovati nei due covi siciliani – esprime il sogno di cambiare volto. Nel suo vecchio computer, infatti, sono appuntati decine di indirizzi di medici italiani, tutti chirurghi plastici. Si tratta, secondo gli investigatori, di nomi che forse il boss aveva recuperato su internet o nelle inserzioni dei giornali. Falsone ce la fa, realizza il desiderio. Vola lontano dalla sua Sicilia, ora diventata temibile. Cambia naso, zigomi, distende le palpebre, gonfia un po’ il labbro inferiore. Ingentilisce i modi, si mescola con la gente comune e si impegna anche a imparare il francese. Del resto Falsone ha intenzione di restarci in Francia, di fare decollare la GSF, una società di forniture per l’edilizia, di cui lui sarebbe dovuto essere il capo.

Falsone vive di diverse identità. Non gli basta, infatti, solo quella di Sanfilippo Frittola, ma usa anche nomi e documenti francesi, alternati a quelli di altri incensurati siciliani. Alterne le carte di identità, in attesa, però, di saldare quella definitiva, l’ultima, la stessa con la quale che gli ha trovato addosso la polizia. Un nome e un cognome che aveva impressi su una patente nautica – lui che non sapeva neppure nuotare. Un documento, però, che gli serviva perchè pulito, nuovissimo, con una margine di sospettabilità quasi nullo, se confrontato a una carta di identità. Falsone che cambia faccia, che si sdogana dai pregi e difetti della sicilianità, per diventare un uomo continentale. Falsone che parla per ore su skipe, forse con il suo vice agrigentino. Un boss che vuole partire da zero, lui che – nella latitanza – teneva lontane le donne per non lasciare tracce di sè e che a Marsiglia si innamora di una giovane del Gabon. Giuseppe Falsone che cambia naso, occhi, labbra, forse pure una parte della suo cervello, ma che non può cambiare pelle, che non riesce a modificare il suo genoma da boss. Sono questi gli elementi che lo incastrano, che quel 25 giugno scorso non hanno lasciato dubbi negli uomini della squadra mobile agrigentina e di quella palermitana. Le impronte digitali non mentono e se non bastassero quelle, gli inquirenti hanno pronte tracce di dna. L’autorità giudiziaria francese lo conferma. E’ lui, il boss, il superlatitante che a vent’anni ammazzava con la mira di un pistolero d’annata. Ha la faccia nuova, ma sopra l’anima sempre gli stessi terribili crimini. E’ Giuseppe Falsone e domani tornerà in Italia.


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